Addestrare un’AI: tra diritto d’autore e privacy… e tu dove ti posizioni? 🤔

11 Agosto 2025

Ti sei mai chiesto se sia legale usare libri, articoli o post sui social per addestrare un’intelligenza artificiale? 🤖 È una domanda che, fino a poco tempo fa, sembrava un dibattito da addetti ai lavori, ma che oggi riguarda chiunque lavori nel digitale. La risposta, come spesso accade nel diritto, è: dipende. Dipende da dove ti trovi, dalle regole del tuo ordinamento e da come imposti l’intero processo di addestramento.

Negli ultimi mesi due sentenze – una negli Stati Uniti 🇺🇸 e una in Europa 🇪🇺 – hanno acceso i riflettori su questo tema. Non si tratta di decisioni teoriche o lontane dalla realtà, ma di casi concreti che possono offrirti indicazioni molto utili se operi o collabori con progetti di intelligenza artificiale.

Partiamo dagli Stati Uniti. Il 25 giugno 2025, a San Francisco, il giudice federale Vince Chhabria si è trovato di fronte a una causa contro Meta. L’accusa? L’azienda avrebbe usato 📚 tredici libri protetti da copyright per addestrare il suo modello linguistico LLaMA. Gli autori sostenevano che si trattasse di una chiara violazione del diritto d’autore e chiedevano un risarcimento.

La difesa di Meta ha puntato tutto sul concetto di fair use ⚖️, una dottrina tipicamente americana che, in certi casi, consente di usare opere protette senza chiedere il permesso. Il giudice ha accolto questa impostazione, affermando che l’uso era “trasformativo” e non incideva sul mercato delle opere originali. In pratica, i libri non venivano riprodotti per essere rivenduti o sostituiti, ma per insegnare al modello linguistico a comprendere e generare testi.

Il punto chiave di questa vicenda è che gli autori non sono riusciti a dimostrare un danno concreto. Nel diritto statunitense, senza una prova di danno al mercato, l’argomento della violazione perde molta forza. 💡 Per chi sviluppa AI, questo significa una cosa chiara: non basta dichiarare che il proprio uso è lecito, bisogna essere pronti a dimostrarlo con documentazione e analisi dettagliate.

Ora spostiamoci in Europa. Il 23 maggio 2025 il Tribunale superiore di Colonia ha affrontato una questione diversa ma altrettanto importante: la privacy 🔒. Qui il ricorso riguardava la decisione di Meta di usare dati pubblici degli utenti, come post, like e commenti visibili a tutti, per addestrare i propri modelli di intelligenza artificiale. Alcuni utenti hanno tentato di bloccare questo uso sostenendo che si trattasse di una violazione della protezione dei dati personali.

I giudici tedeschi, però, hanno respinto il ricorso. La motivazione è stata chiara: i dati in questione erano già pubblicamente accessibili 🌐 e, prima dell’avvio dell’addestramento, gli utenti avevano avuto la possibilità di opporsi. In altre parole, l’azienda aveva previsto un meccanismo di opt-out e lo aveva comunicato in modo sufficientemente trasparente.

Questa sentenza, letta in parallelo a quella americana, disegna due scenari molto diversi ma complementari. Da un lato, il copyright negli USA è bilanciato dal concetto di uso trasformativo; dall’altro, la privacy in Europa può consentire l’uso dei dati pubblici, purché vengano rispettati i diritti di opposizione degli interessati. 📜

La lezione è duplice. Sul fronte del diritto d’autore, occorre valutare attentamente la natura dei contenuti utilizzati, documentando in che modo il loro uso sia diverso e non competitivo rispetto all’opera originale. Sul fronte della protezione dei dati, invece, bisogna assicurarsi che i dati provengano da fonti pubbliche e che l’utente abbia avuto una reale possibilità di dire “no” ✋.

Questi casi mostrano anche quanto sia fondamentale non limitarsi a conoscere la normativa, ma tradurla in processi concreti. 📑 Predisporre un registro delle fonti utilizzate per l’addestramento o mantenere traccia delle comunicazioni agli utenti può fare la differenza se, un domani, qualcuno solleva un reclamo o avvia una causa.

Cristiano Pivato

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