Fringe benefit fino a 3.000 euro

28 Novembre 2022

Il decreto Aiuti quater interviene sulle misure fiscali per il welfare aziendale prevedendo l’aumento fino a 3000 euro della soglia di esenzione dei fringe benefit* per l’anno 2022. 

Pertanto le liberalità corrisposte dal datore di lavoro ai propri dipendenti entro il 12 gennaio 2023 non concorreranno alla formazione di reddito imponibile per il lavoratore nel caso in cui non venga superata la soglia di 3.000 euro. 

L’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 35/E/2022 ha chiarito che tale soglia è da considerarsi come un limite specificando che erogare una somma anche leggermente superiore al tetto massimo comporterebbe l’inclusione di tutto il fringe benefit nel reddito di lavoro dipendente, compresa la quota di valore inferiore al medesimo limite. Il datore di lavoro dovrà quindi prestare molta attenzione al fine di evitare uno sforamento che andrebbe a maggiorare notevolmente il costo dei fringe benefit.

Fringe benefit ordinari e utenze domestiche

Oltre l’aumento del limite delle liberalità a 3.000 euro nell’anno in corso è stata introdotta la possibilità di pagare o rimborsare anche le utenze domestiche dei propri lavoratori, intese come utenze dell’acqua, dell’energia elettrica e del riscaldamento. L’azienda quindi, oltre ai fringe benefit ordinari (come ad esempio, i buoni spesa, i buoni benzina, l’auto ad uso promiscuo), avrà anche la possibilità di corrispondere in busta paga la cifra pagata dal lavoratore in bollette energetiche.

In questo caso, è fondamentale che il datore di lavoro richieda, alternativamente, al lavoratore:

1. il documento attestante l’utenza domestica (la bolletta) pagata;

2. la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà attestante il possesso della documentazione, comprovante il pagamento dell’utenza domestica.

In entrambi i casi dovrà essere affiancata una dichiarazione (allegata alla presente), da parte del lavoratore, che autocertifica che non ha richiesto il rimborso di quella specifica utenza ad un altro eventuale datore di lavoro, e che lo stesso rimborso non sia stato richiesto anche dal coniuge o da altro familiare.

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